Il brigantaggio, quale fenomeno sociale, politico e criminale, viene esaminato per la prima volta oltre che nel dipanarsi di quel lungo periodo storico nel quale è sorto ed è proliferato, anche nell’arte, nella letteratura e nell’immaginario, aprendo così una “finestra” su un mondo di emarginazione, di povertà, di prevaricazioni, di sofferenze e, spesso e volentieri, soprattutto di crudeltà, di cui la storia, perlomeno quella che si rifà ai grandi eventi e ai loro protagonisti, non sempre ha lasciato adeguata memoria. L’umile esistenza di quei popolani che per loro, o ancora più spesso, altrui scelta, erano stati costretti a prendere la via della “macchia” abbandonando casa, beni, affetti, rivive come d’incanto nelle opere di quei numerosi pittori che li hanno “immortalati” in incisioni, oli ed acquerelli, quadri che riescono così non tanto e non solo a restituirci, quasi in un flash-back dell’anima, quel loro mondo di sofferenze e di efferatezze, quanto ad aprire una “breccia” nella nostra coscienza.
Il brigantaggio come scelta di vita, infatti, più che a spinte ideologiche o criminali, in più di una occasione era conseguente al ben più grave problema della sopravvivenza che vedeva proprio in quella “vita scellerata” l’unica via d’uscita o di salvezza. Insofferenza di servitù, sfiducia nelle leggi umane, desiderio di vendetta e di rivalsa, uniti a una aspirazione atavica verso una giustizia terrena e uno sconfinato bisogno di libertà, erano quindi le molteplici motivazioni che spingevano gli abitanti di certe regioni a darsi alla “macchia”. |